Il pedagogista negli istituti medico-psico-pedagogici

Quarant’anni dopo la fondazione degli istituti medico-pedagogici sorsero gli istituti medico-psico-pedagogici caratterizzati anch’essi dalla presenza del pedagogista.
Fra i tanti, situati in aree geografiche diverse, ma similari nella conduzione di aiuto ai soggetti ospiti, ricordiamo quelli Ostuni e di Sarsina.
L’Istituto medico-psico-pedagogico “Villa Nazareth” di Ostuni era una istituzione privata fondata nel 1958, per l’osservazione, la diagnosi e il tratta­mento di minori caratteriali con disturbi nella struttura intima della personalità e comportamento anor­male. Le cause ordinarie di tali disturbi venivano raggruppate in:

  • […] oligofrenia lieve o media (in crisi di disadattamento con comporta­mento
    personale immaturo rispetto al­la fase di sviluppo);
  • […] ritardo mentale o scolastico;
  • […] pregresse affezioni somatiche (cerebropatie, encefaliti, traumi cranio-encefaliti) (esclusi i minori con grave instabilità psicomotoria ed epilettici con sindrome comiziale non controlla­bile con farmaci antiepilettici);
  • carenze affettive e pedago­giche» (Istituto medico-psico-pedagogico “Villa Nazareth”, 1970).

Gli ospiti, tutti di sesso maschile, nel 1969 erano 125, dai 6 ai 14 anni, indirizzati da enti assistenziali o dalle famiglie.
L’istituto curava i rapporti con l’Ente e con la fa­miglia informandoli mediante relazioni trimestrali e globali a fine anno sull’andamento del trat­tamento pedagogico applicato al minore. Il programma veniva stabilito di volta in volta dall’équipe specia­listica, durante le sedute di sintesi e le sedute periodiche psico-pedagogiche. Problemi pedagogici, didattici ed esperienze quo­tidiane venivano discussi tra in­segnanti e pedagogista in gruppi di studio quo­tidiani.
I minori giornalmente si applicavano alle at­tività manuali ed erano guidati gradualmente alla produzione rifinita di oggetti di rafia, mosaico, truciolato, ferro, corda, collage, traforo, das, rame, ecc. I ragazzi più grandi, secondo le esigenze, venivano av­viati in botteghe artigianali della città.
L’istituto prevedeva attività ricreative ed esperienze sportive grazie a vari impianti.
“Villa Nazareth” si distingueva per l’organizzazione degli ospiti in gruppi-famiglia, ognuno dei quali aveva il suo appartamento ed era seguito da un’insegnante specializzata. I gruppi-famiglia garantivano lo sviluppo dei rapporti affettivi, offrivano opportunità propositive, fino a concordare e a prendere decisioni comuni nel programmare alcuni spazi della giornata.
Dell’Istituto medico-psico-pedagogico di Sarsina parla Antonio Cialabrini in un lavoro dal titolo Obiettivo: una problematica pedagogica per la comunità (1974). Gli ospiti dell’istituto erano 60 ragazzi dai 6 ai 14 anni, orfani di padre o di madre provenienti da diverse parti d’Italia, assistiti dall’ENAOLI (Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori Italiani).
Lo staff educativo era composto da sei educatori, cinque assegnati ai gruppi-famiglia ed un turnista, e da un coordinatore del tempo libero con compiti di preparazione delle cosiddette attività del tempo libero. In totale sette persone (quattro ragazze e tre ragazzi) coordinate dall’équipe formata dal direttore, con compiti prevalentemente di coordinamento generale e di amministrazione, da un ortopedagogista, da uno psicologo e da un assistente sociale che coadiuvava il direttore nel settore delle attività interne ed in quello dei rapporti con le famiglie.
All’interno dell’istituto operavano anche cinque insegnanti elementari titolari delle cinque classi “differenziali” presenti nella struttura stessa dell’istitu­to. A questo personale si aggiungeva quello ausiliario.
Il nucleo chiave anche di questo istituto era il gruppo-famiglia, composto da una decina di ragazzi, da un educatore e da una collaboratrice.
Ogni gruppo mangiava, giocava, studiava ed era autonomo.
L’ortopedagogista (pedagogista con particolari esperienze assunte in importanti tirocini) in questo contesto si inserì a partire dal settembre 1970 e la direzione gli lasciò “carta bianca” per tutto il settore pedagogico.
All’educatore veniva riconosciuta una preparazione professionale (che doveva avere assunto da formatici tirocini) e non di badante, un’etica professionale paragonabile benissimo a quella del medico con il vincolo del segreto professionale e del dover “far crescere” il fanciullo usando tutti i mezzi che la scienza in generale, e le scienze dell’educazione in particolare, potevano offrire.
I fini della pedagogia, contrari ad una tendenza psicologica volta alla cura di turbe considerate quali singole unità, sono quelli di strutturare metodologie che, con vigore, si rivolgono alla complessità della personalità. Una prospettiva pedagogica che scaturisce da un’analisi metodologica degli aspetti soggettivi e oggettivi, storici e culturali della persona, superando la parzialità di particolari sistemi.