Pedagogia e educazione del Nuovo Umanesimo

Il nuovo Umanesimo vuol ridare alla cultura Umanistica la sua era funzione pedagogica  formativa della mente e della personalità dell’uomo. Nuovi criteri pedagogici che, basati sullo studio dei classici, hanno come fine il raggiungere e esercitare la virtù e la sapienza, indirizzare lo spirito e il corpo a cose nobili  che portano ai più alti premi dell’onore e della gloria. Si mira alla formazione completa e armonica dell’uomo, allo sviluppo di tutte le sue qualità morali, intellettuali e fisiche, affatto sconosciuta all’antichità  pagana, ma che adesso si fonda in una sensibilità religiosa e morale orientata ad una valutazione della  persona  umana più completa. Tra i Pedagogisti Umanisti sono da ricordare Vittorino  da Feltre  (1378-1446)  i cui insegnamenti sono espressi  nella sintesi operata tra criteri umanistici e princìpi cristiani, resa possibile dalle sue qualità pedagogiche, programmatiche e metodologiche. Egli viene sollecitato ad ottenere questo successo dalla necessità di una costante ricerca finalizzata a trovare risposte educative adatte a una definita educazione fisica, intellettuale con programma enciclopedico-umanistico graduato all’età del soggetto, e di istruzione condotta in un clima di cordialità e di simpatia, sostenute dai criteri della pedagogia umanistica. All’umanesimo, in questa epoca del Rinascimento, certe istanze vengono potenziate nella necessità individuare metodi e di strutturare criteri pedagogici  rivolti particolarmente in attenzione al bambino e al rispetto della sua personalità. Con simili attenzioni verso la funzione pedagogica formativa opposta ad una disciplina dura e invilente incontriamo anche Erasmo da Rotterdam (1463-1536), i cui criteri sono lo studio della cultura classica, l’impegno per una scuola concreta e la difesa dell’educazione  femminile, ed in particolare la necessità di conoscere le potenzialità dell’allievo.  Rabelais (1494-1553) e Montaigne (1533-1592) non si distaccano da questi orientamenti e propongono  cambiamenti sostanziali nei metodi educativi e nei programmi scolastici  con il chiaro intento di reagire alla decadenza, il primo,  sostenuto da una ottimistica e naturalistica concezione della natura umana che chiede al suo Pantagruel di essere un pozzo di scienza associato ad un’ottima formazione fisica. Il secondo, Montaigne, il quale propugna per l’istruzione la comunicazione di cose e non di parole, badando più al contenuto che alla forma, senza perciò l’intento di  formare   l’uomo  erudito, “una  testa   ben   formata,  più   che  ben  piena”. Da ambedue questi pedagogisti si coglie il caratterizzarsi della pedagogia come natura, natura in genere per Rabelais, natura umana per Montaigne, un metodo scientifico-sperimentale con il quale colmano le  lacunosità, imprecisioni e asistematicità  precedenti. La conseguenza è la sentita necessità di un cambiamento radicale avrà inizio e si farà sentire solo nel secolo successivo con Comenius (1592-1670), John Locke (1632-1704) e Fènelon (1651-1715). Di Comenius si ricordano la grande fiducia nel metodo sperimentale, i suoi nuovi metodi pedagogici  e i procedimenti didattici con la nuova concezione dei diversi gradi di scuola (gremii, vernacola, latina, accademia) e la gradualità dell’insegnamento, pur senza negare la pansofia, oltre che aprire le scuole a tutte le categorie di cittadini e classi sociali. La pedagogia Lockiana segue la natura come Comenius e promuove lo studio dell’anima del bambino e le sue capacità, per guidarlo e orientarlo verso una libertà di giudizio, in autenticità di interiorità ed esperienza. Fènelon si indirizza sulla necessità di una educazione e di una istruzione della donna. Un lento, progressivo maturare del pensiero e dell’azione pedagogica che ci ha trasportato alle origini della pedagogia nuova, da cui abbiamo assistito al costante impegno per un maggior adeguamento formativo tenendo conto della totalità dell’uomo. Il rappresentante  più distintivo degli albori della nuova pedagogia che si incastona  nel periodo illuminista, è Gian Giacomo Rousseau (1712-1778). Di Rousseau possiamo richiamare alcuni aspetti come la sentita necessità di attuare una educazione libera e non soggiogata  all’asservimento dell’assolutismo politico, un uomo formato secondo la libertà e spontaneità della natura, cittadino di una nuova società. Per natura Rousseau intende il complesso delle attitudini fondamentali dell’uomo, capacità, istinti, necessità, tendenze, ciò che è agente, attivo e dinamico, spontaneo e originario nell’individuo. Un riconoscimento dell’uomo che richiede una educazione condotta nel rispetto della spontaneità della persona e che prevede una educazione genetico-funzionale capace di adeguarsi alle esigenze psicologiche delle varie fasi dello sviluppo e di limitare le facoltà dei bambini fino ai 12 anni eminentemente sensitiva, attendere i 15 anni per la formazione sociale e i 18 per quella religiosa, negando la possibilità o l’opportunità di ogni anticipazione. Una decisiva svolta nel campo della pedagogia pur adombrata dall’ingenua spontaneità riconosciuta alla natura, l’annientamento dell’autorità dell’educatore, l’espansione del sentimento a scapito della ragione e dell’oggettività della norma morale. Limiti che verranno superati dai seguaci che si sono presentati dopo di lui, fra questi Enrico Pestalozzi   (1746-1827) che, dapprima  entusiasta delle  idee sociali e pedagogiche di Rousseau, in seguito alle sue esperienze educative a contatto con i figli  del  popolo,  i poveri, gli umili, sostiene il principio di una pedagogia  dell’amore come fine dell’educazione, retto dalla bontà, dedizione, comprensione e  carità  in  opposizione alle divisioni  classiste. Un’educazione orientata a preparare la persona alla vita sociale tenendo conto di tre stati: lo stato di natura o di innocenza, lo stato di bontà sostenuta dalla formazione della virtù e dal carattere, la conquista di uno stato interiore di moralità e integrazione sociale. Principi che si raggiungono, sostiene il Pestalozzi, con una educazione familiare ad opera specialmente della madre e successivamente della scuola, condotta con un  metodo  didattico all’elaborazione dei dati  ricavati dal diretto contatto con la natura e con le cose, da cui ricavare intuizioni di forma,  numero, nome, e dare accesso al  disegno,  la geometria,  la scrittura l’aritmetica, la lingua, e uno spontaneo  sviluppo del pensiero. Esperienze fondamentali dalle quali tutto si dovrebbe alimentare spontaneamente fino a raggiungere un’efficace opera formativa. Nella scia pedagogica idealistico-romantica  si svolge  anche il pensiero e l’opera educativa di Federico Froebel (1782-1852) pur con maggior organicità  e  determinatezza rispetto al Pestalozzi, dal quale trae significato la sua teoria  e la  metodologia dei giardini d’infanzia froebeliani; “giardini d’infanzia” in cui si ricollegano la corrente naturalistica e  idealistica. Secondo Froebel in ogni fanciullo c’è e si sviluppa un principio divino e la pedagogia deve secondare tale sviluppo, più che prescrivere, determinare, intervenire. L’educazione deve perciò essere orientata alla liberazione della persona tenendo conto “dell’ottimo e  il giusto” con cui si esprime, un idealismo che è alla base della riconosciuta importanza del lavoro dell’uomo al pari dell’ operosità che si è manifestata in Dio nella creazione. L’importanza  del lavoro nell’educazione dell’uomo si traduce per il bambino nel gioco,  il gioco come mezzo fondamentale per l’educazione e l’istruzione dell’infanzia. Froebel che è stato il creatore dei così detti «giochi educativi» ha composto in un sistema ben preciso questo insegnamento basato sul gioco e ha pensato ad un insieme di giochi educativi che, secondo lui, potranno permettere al bambino di sviluppare delle attitudini funzionali fondamentali. Un metodo funzionale, attivo, in opposizione ai metodi istruttivi, che si basa sul gioco, sulla riconosciuta importanza allo stimolo che un oggetto in contatto con il bambino poteva avere sul bambino stesso, e sull’attività motoria corporea, ciò che rende Froebel un precursore della psicomotricità funzionale. Nella pedagogia di Froebel si vedono anche già abbozzate le idee di Piaget perché pensava che  portare il bambino a utilizzare tutte le sue risorse riguardanti la sua motricità e la sensorialità  gli avrebbe permesso poi di arrivare ad acquisizioni più astratte, cioè utilizzare un certo tipo di materiale scelto apposta per passare dal concreto all’astratto, permettere al bambino di partire dall’intelligenza sensorio-motoria all’intelligenza che Piaget ha definito delle operazioni concrete con la successiva rappresentazione mentale dell’azione da intraprendere su quel determinato oggetto. Froebel è stato perciò anche il precursore delle intuizioni che Piaget ha approfondito in seguito. In questo periodo si distinguono anche Albertina Necker de Saussure (1766-1841) e Padre Gregorio Girard (1765-1850), ciascuno apportando un proprio contributo integrando e portando all’opera di Rousseau un più stabile equilibrio e eliminando le sovrastrutture idealistiche del Pestalozzi. Il cammino storico della pedagogia ci porta in particolare ad incontrare G. F. Herbart  (1776-1841), riconosciuto come il  fondatore   della   pedagogia  scientifica, un sistema organico di concetti intorno al fine e al metodo dell’educazione. Egli condanna  la  idealistica   identificazione   della   pedagogia   con  la   filosofia, considera priva di fondamento la pedagogia puramente  descrittiva  del fatto educativo che ha offerto Rousseau o quella appagata dall’esperienza, la pedagogia   empirica, e ancor meno quella pedagogia che si affida agli influssi sociali. Herbart, visitata  la scuola condotta dal Pestalozzi, pur ammirandone i risultati da lui ottenuti, sente comunque la necessità di colmare delle importanti lacune dando vita ad una pedagogia collegata all’etica, e indica il fine al quale deve mirare il processo formativo della personalità dell’educando  e alla psicologia che offre i mezzi di cui si deve valere il pedagogista per conseguire quel fine. All’autoeducazione antepone l’etero-educazione, attribuendo grandissima importanza all’opera del pedagogista così da definire l’istruzione più propriamente istruzione educativa, capace di suscitare rappresentazioni e pensieri che abbiano valore per la formazione del carattere.  Sostiene la teoria degli interessi, interesse di conoscenza, di partecipazione, simpatetico, che si riferisce alle gioie e ai dolori degli altri, interessi simultanei e armonici da cui derivano due conseguenze didattiche, la prima che l’insegnamento per  essere  efficace deve  inserirsi  nella  serie  di  nozioni   già  possedute   e  fondersi   con  esse, la seconda, che il pedagogista deve cercare  di  destare  sempre  maggior   interesse, ricevendo e procurando  un  senso  di  piacere. Da queste premesse è sorta la didattica definita dei “gradi formali” a cui in tanti si sono riferiti prima dell’avvento dei metodi attivistici, e che consiste in un modo di procedere che è come una formalità (forma in senso filosofico) dell’atto didattico, da applicarsi (informare) all’insegnamento di qualsiasi materia. I “gradi formali”, richiedono chiarezza, delimitazione  e  descrizione  dell’oggetto nei suoi molteplici aspetti, associazione intesa come sintesi della molteplicità  di elementi o aspetti,  nell’unità  dell’oggetto  e la sua chiarificazione a mezzo di accostamenti e comparazioni,  sistema  inteso come l’armonica  fusione  delle  nuove  cognizioni  con il complesso delle nozioni già possedute, e il metodo, pieno e fruttuoso possesso  delle nozioni,  con capacità di pratiche applicazioni.
In questo stesso periodo in Italia, in campo pedagogico si assiste ad un grande risveglio con caratteri che vanno oltre i limiti del problema scolastico-didattico per spingersi su aspetti teorici e pratici dell’educazione rivolta all’unificazione dell’Italia e alla formazione intellettuale, religiosa, morale e patriottica degli italiani. Di questo periodo storico della pedagogia sono importanti il Cuoco, Lambruschini, Rosmini e Aporti, confusi con la contemporanea concezione del Positivismo pedagogico, della pedagogia scientifico-sperimentale, contrapposta al saper umanistico, con letture di autori quali lo   Spencer  (1820-1903) che ne ha la paternità e per l’Italia l’Ardigò (1828-1920), il Gabelli ed altri.
Concezione che si basa su un sapere strumentale di conoscenza certa dell’uomo e delle  sue funzioni,  che sacrifica l’autonomia  della  persona  umana al  meccanicismo, riduce la vita nei suoi aspetti  individuali  e sociali ad “ingegneria  sociale” e persegue una educazione tradotta in un rutinario  addestramento (in G. Pesci (2016). Pedagogia Pedagogisti. Firenze. Edizioni Scientifiche ISFAR).