Pedagogia terapeutica           

La pedagogia terapeutica, improntata a uno spirito sanitario, è quella pedagogia che si nutre ancora di una concezione emendativa, subordinata alle diagnosi classificatorie, realizzate “in vitro” nei limiti angusti di un ambiente ospedaliero, obbligata all’attenzione scrupolosa alla malattia, nella ingenua certezza che la psiche può essere sviluppata, curata, armonizzata, con misure terapeutiche che non tengono conto dello sviluppo generale e delle esperienze di comportamento sociale.
La pedagogia terapeutica legge e descrive gli organi solo in senso anatomico, essendo incapace di riconoscerli come importanti organi sociali e psico-affettivi. Essa rischia di vedere, della persona in difficoltà, solo il deficit, solo l’aspetto patologico e non anche l’enorme riserva di salute. La pedagogia terapeutica è una illegittima distorsione della Pedagogia, concretizzata da pedagogisti che, in assenza di una propria professionalità, si affidano e imitano le terapie, condotte con un’attenzione scrupolosa alle minuzie della malattia. Pedagogisti conformati e adattati al deficit, concentrati sull’insufficienza organica, capaci solo di impedire le esperienze socializzanti, abili nello sviluppare nel soggetto un maggiore isolamento, già proprio della pedagogia emendativa. Pedagogia terapeutica che si ispira a metodi indirizzati al separatismo, all’ammaestramento, dunque basati su un lavoro forzato, insensato, penoso, artificiosamente curativo, sterile, che vuole l’allievo segregato e chiuso nel suo microcosmo, reso parassita, ridotto ai margini della vita. Interventi che si basano sul principio che la psiche può essere sviluppata per mezzo di esercizi ripetuti, mantenendo così viva la confusione tra educazione e approccio zoofiliaco. Una pedagogia ingannatrice, consacrata ad aiutare gli allievi che mostrano difficoltà e ritardi con elenchi di esercizi sistematici, programmi con azioni generalizzatrici che vedono rinchiudere il soggetto in un microcosmo conformato al deficit, sviluppando così il suo separatismo. Terapia che, sulla base della presa in carico (specifica dello psicologo) e del progetto riabilitativo, che ha ritenuto fino a ieri insostituibili le schede, continua ancora oggi a mantenere gli allievi seduti davanti a un “banchino differenziale” in compagnia di hardware e software; interventi separatisti che sottraggono esperienze comuni e le possibilità imitative che, arricchendosi, possono diventare capacità creative.