Pedagogista: proposta delle Autonomie Locali

Il 17 marzo 2004 le Autonomie Locali hanno presentato alle forze politiche e al Governo un documento per l’identificazione delle professioni sociali ai sensi dell’art. 12 della legge 328/00 (legge quadro sui servizi sociali) dove si chiede, fra le altre cose, il riconoscimento del ruolo del pedagogista. Il documento-base per la discussione è così articolato: “Premessa”, “Ruolo e politiche degli Enti locali”, “Il ‘sociale’ come categoria”, “Figure nazionali e iniziative delle Regioni”.

Premessa

Quando ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, FederSanità ANCI, Legautonomie e UPI-Unione delle Province d’Italia come associazioni di rappresentanza delle autonomie locali hanno deciso di avviare un approfondimento sulle possibilità applicative dell’art. 12 della Legge 328/2000, hanno tenuto presente che il compito che stavano assumendo e le difficoltà che avrebbero trovato sul loro cammino non sarebbero state di poco rilievo. La mancanza di una iniziativa specifica e doverosa, nel merito, da parte del governo nazionale, sta rendendo sempre più difficile affrontare la quotidianità dei servizi sociali, dei servizi alla persona, anche in considerazione che gli interessi in campo, attorno a questo tema sono molti, così come le attese. Nel prossimo futuro alcune regole dovranno forzatamente essere individuate per mettere ordine in un sistema professionale assai fragile e in un mercato del lavoro frantumato. Da questi presupposti parte questa iniziativa che intende offrire una sponda alle esigenze professionali, raccogliere gli stimoli, ascoltare le proposte, ma che essenzialmente vuole creare il presupposto politico di una riflessione larga fra tutti gli attori del sistema, evitare derive eccessivamente corporative, offrire un quadro di riferimento nazionale certo ed un possibile tentativo di coniugare esigenze regionali e mantenimento di una unitarietà nazionale, necessaria e di garanzia per tutti.

Ruolo e politiche degli Enti locali

Gli attori pubblici – Province, Comuni, Distretti e Zone sociali, Aziende Unità Sanitarie Locali – vorrebbero definire le dotazioni organiche per i servizi, avendo a disposizione un repertorio limitato di figure, con profili, competenze e percorsi formativi chiaramente individuati. Per contro, le imprese sociali che gestiscono in appalto o convenzione, i servizi, devono tutelare gli attuali occupati; molti dei quali lavorano da anni senza qualifica o con titoli regionali e solo in piccola parte appartengono a professioni riconosciute a livello nazionale. Per questi, è prioritario ottenere un titolo di valore all’esperienza acquisita e che sia riconoscibile nel mercato del lavoro. Tra queste diverse, ma legittime esigenze, gli enti locali sono a un bivio. I servizi alla persona esigono competenze sempre più raffinate, ma una qualificazione più elevata trascina con sé un aumento del costo del lavoro. Questo è un problema reale nel momento che le risorse degli enti locali sono sempre più limitate. Inoltre, i dirigenti dei servizi trovano sempre più frequentemente una maggiore preparazione teorica nei giovani che escono dall’università, rispetto a quelli formati nei corsi regionali, che sono molto più brevi ma sicuramente più mirati all’operatività. Le stesse lauree triennali a valenza professionale nel settore sociale (classe 6, 18, 36, 34, 3, 14) sono ancora in fase di rodaggio, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra sapere teorico e competenze operative e questo mal si concilia con l’esigenza di operatività e di risposta ai servizi richiesti dalle oggettive situazioni personali o familiari. In definitiva il nuovo oggi non sempre si sposa con l’attualità di una responsabilità tutta a carico degli Enti Locali in ordine all’assicurazione di servizi sociali all’altezza dei bisogni dei cittadini. […] C’è da implementare il welfare territoriale oggi esistente con politiche che affrontino almeno tre grandi questioni che si vanno imponendo alla nostra attenzione ad un ritmo impressionante:

  •  la precarizzazione del futuro delle giovani generazioni;
  •  l’invecchiamento della popolazione e la non auto sufficienza;
  •  l’immigrazione come dato strutturale della nostra società in termini quantitativi e qualitativi. […]

Il welfare territoriale lungi dall’essere ancora una strategia omogenea, coerente e progressivamente adeguata ai bisogni, rappresenta in ogni caso una risorsa in essere di valore inestimabile, e noi avvertiamo una forte consapevolezza e una forte coesione sociale quando lo poniamo al centro della nostra azione di governo e della nostra battaglia politica, che va ben al di là degli addetti ai lavori, dei ceti sociali più deboli, del mondo del lavoro. […]

Il “Sociale” come categoria

Nell’intervento sociale c’è un contenuto relazionale, che si riscontra nei luoghi della vita quotidiana, quali la famiglia, i luoghi dell’aggregazione e della socializzazione ecc. La “categoria” quindi è in debito verso questi “luoghi”, in quanto proprio questi luoghi hanno contribuito a definire come “sociali” gli interventi e i servizi. Servizi che, da uno scopo inizialmente assistenziale-riparatorio hanno assunto in modo sempre più deciso obiettivi di tutela e di promozione, orientati alla cittadinanza e all’inclusione sociali. […]

Figure nazionali e iniziative delle Regioni

Solo alcune professioni sociali che attualmente lavorano nella rete integrata dei servizi hanno un qualche statuto nazionale:

  • OSS operatore socio-sanitario
  • Educatore professionale
  •  Assistente sociale
  • Sociologo
  • Psicologo
  • Pedagogista

Una qualifica di base e cinque professioni laureate. Assistenti sociali e psicologi sono regolamentati con albo professionale. I sociologi da anni sollecitano il riconoscimento nazionale del ruolo esercitato nella rete dei servizi di welfare: attività di studio della domanda, programmazione, valutazione e sviluppo dell’offerta, costruzione di legami organizzativi e coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali. Così pure i pedagogisti, che in varie regioni sono riconosciuti per le attività di progettazione e coordinamento dei servizi socio-educativi. La professione di educatore è definita solo per il comparto sanitario, mentre manca un profilo unico per chi lavora in sanità, nel sociale e nel penitenziario. Occorre, dunque, completare la regolazione delle figure laureate; tuttavia i problemi maggiori si incontrano nella fascia delle qualifiche intermedie. Qui si addensano moltissime figure regionali, con nomi diversi da regione e regione e i percorsi formativi più vari.[…]  Si conferma la necessità di dotare il welfare di alcune professioni cardine, definite a livello nazionale. Altre figure dovranno essere individuate a livello regionale, per rispondere a esigenze di flessibilità organizzativa e sviluppare nuovi modelli di cura. Ma le prestazioni comprese nei livelli essenziali dovranno essere affidate in massima parte a figure nazionali. […] Come promotori di questa iniziativa sulle professioni sociali sottoponiamo al governo, al parlamento, agli ordini professionali, alle associazioni sindacali, alle imprese sociali, a nome degli enti locali, depositari della titolarità amministrativa dei servizi sociali, un ventaglio di questioni aperte.

In sintesi:

  • figura unica di educatore professionale per il comparto sanitario, sociale e penitenziario
  • profilo nazionale di educatore della prima infanzia
  • profilo nazionale di animatore sociale
  • profilo nazionale di tecnico di inserimento lavorativo
  • curriculum di competenze ed esperienze per i ruoli dirigenti nei servizi e nella rete integrata
  • percorso formativo omogeneo per l’assistente familiare
  • riconoscimento del ruolo del sociologo professionale
  • riconoscimento del ruolo del pedagogista
  • criteri per la comparazione tra figure professionali regionali.

Difficile prevedere il risultato di questa iniziativa e se la stessa riuscirà a trovare un punto di equilibrio tra i diversi interessi in gioco; ma sicuramente ed in ogni caso, avrà dato un grande contributo se porterà alla luce le difficoltà presenti, se aiuterà gli attori in gioco a riconoscere almeno interessi convergenti e divergenti e se, a partire da questo documento preparatorio, aperto al contributo di tutti, il dialogo proseguirà su basi comuni. […]