Pedagogisti e educatori Vs alienisti

Il primo fondatore di un istituto per il recupero delle persone con problemi è stato, come abbiamo già avuto modo di affermare, Antonio Gonnelli-Cioni. Il primo istituto per frenastenici (1891) aveva lo scopo di accogliere fanciulli e giovanetti affetti da imperfezioni intellettuali, comunemente chiamati idioti, i quali venivano aiutati con un metodo che il Gonnelli-Cioni aveva ampiamente sperimentato e che aveva riscosso ampi consensi presso insigni medici psichiatri come il Lombroso, il Fumaioli, il Morselli, il Buonuomo, il Verga, tutti favorevoli a che questi soggetti, per il superamento delle loro difficoltà, fossero affidati all’educatore piuttosto che alle cure dell’alienista.
In proposito Silvio Tonnini, un medico di Bologna, nel suo intervento al congresso di Novara  sul tema “Degenerazione e primitività”, ebbe a dire:
Se la cura della malattia è accessibile più o meno all’uomo e visibile all’individuo, la cura della degenerazione acquisita si deve esercitare dall’igienista e dall’educatore […]. È certo che coll’educazione si evita un dato fomite […] studiando l’evoluzione del carattere giungeremo ad apprezzare le deficienze, le precocità, le aberrazioni di ogni sorta relative all’età e al sesso dell’individuo e così su di quelle potrà portarsi prevalentemente l’attenzione dell’educatore. L’educazione se non è abile a mutare le condizioni e le disposizioni organiche preesistenti, può senza dubbio regolare l’esercizio delle facoltà e per tal modo influire sullo sviluppo organico; essa può creare delle abitudini utili al benessere fisico e morale ed imprimere ad elementi nativamente inquinati, una direzione salutare da contrapporre alle condizioni congenite (Pesci, 1986a).
Lo stesso Verga nel suo studio Frenastenici ed imbecilli, sosteneva che il frenastenico non era di competenza del medico ma di chi poteva offrirgli un’educazione paziente e ben intesa. Anche il Gilforti era dell’avviso che l’opera del pedagogista fosse insostituibile. Egli affermava che il medico «può dettare le regole dietetiche ed igieniche, mentre l’ufficio del pedagogista è tale che giornalmente e in ogni istante può esercitare la più salutare influenza su quei disgraziati, educandoli ed istruendoli può restituirli alla nobiltà della nostra specie» (ibidem).
Il Gonnelli-Cioni dichiarava altresì apertamente di accettare e ricercare in certi casi la cooperazione del medico e dello specialista psichiatra, ma rifiutava che si dicesse che il buon andamento di un istituto per frenastenici fosse reso possibile solo dallo psichiatra alla direzione.
Della stessa opinione era anche il prof. Lucchini, specialista psichiatra presso l’istituto per frenastenici del Gonnelli-Cioni, il quale, in un suo volumetto dal titolo Pei fanciulli deficienti (1899), sentita la conferenza tenuta a Milano “dalla dottoressa signorina Montessori”, scrisse:
Lesse […] e da quella lettura risultò che il medico ha a che fare coll’educazione dei frenastenici, come Pilato ha a che fare col credo. Né poteva avvenire diversamente, poiché la signorina Montessori tolta lì per lì da un ospedale per mandarla in giro a parlare di educazione e per di più di educazione speciale, anzi specialissima per l’Italia, che mai avrebbe potuto dire di suo? Come spiegare e giustificare in qualche modo quella denominazione di metodo medico-pedagogico che lei cercava di proporre, se di pedagogia doveva essere profana e se il medico, ripeto, ha poco o nulla a che vedere colla educazione di questi disgraziati? L’Istituto – prosegue il Lucchini, riferendosi all’Istituto del Gonnelli-Cioni –, pur avendo, oltre ai consulenti straordinari, due medici a propria disposizione, questi non prestano altro servizio che quello ordinario riflettente le malattie comuni. E notasi che il distinto dottor Galanti – specialista psichiatra – trova spesse volte inutili certe nostre chiamate, le quali nei casi normali si riducono ad una o due la settimana.
Dunque, si chiedeva il prof. Lucchini:
[…] un istituto che vive e prospera sotto la direzione e le cure di educatori e col solo sussidio medico in casi eccezionali, si vuole affidato al governo diretto di medici? Ma allora ragionando a questo modo si dovrebbe chiamare ad esempio metodo medico-architettonico, quello adottato dagli architetti per l’erezione dei fabbricati solo perché i fabbricati medesimi devono corrispondere alle debite prescrizioni igieniche? […] ma allora il termine medico si potrebbe appiccicare alla denominazione di tutte le arti e di tutte le professioni, in quantoché non v’è attività umana che non si sviluppi secondo certe norme generali e speciali relative al benessere fisico dei singoli individui e della società. Tanto più è grottesco l’appellativo di medico dato al metodo speciale di educazione per frenastenici […] ed in particolare a quelle sezioni speciali pei negligenti, per i pigri e per gli indisciplinati che si intendono fondate accanto alle scuole comuni. […] quand’è e quando sarà mai che il buon senso ammetterà che la cura dei monelli, degli svogliati, degli impertinenti, degli infingardi ecc. debba essere di spettanza medica? (Pesci, 1986a).
È evidente che vi era una frattura fra gli stessi psichiatri anche se non fra quelli più illuminati e autorevoli che si erano già espressi unanimemente a favore del pedagogista quale direttore di istituto per frenastenici. Una lotta sotterranea, ma non troppo, per l’espansione del potere medico, che non si è fermata neppure di fronte alle lamentele del Vygotskij il quale affermava: «Un altro aspetto, anch’esso non meno deludente per un reale processo di integrazione, è quello di vedere gli addetti ai lavori conformarsi all’opinione comune che l’handicappato è un malato e ritenere di affrontare in termini rozzamente organici, medici, i problemi pedagogici» (Pesci, 1986b).
Nonostante le critiche, i richiami in attenzione sull’importanza e la validità di una guida pedagogica, gli istituti che fino alla fine dell’Ottocento, in Europa, erano diretti da pedagogisti, vennero successivamente cooptati dai medici che ne assunsero la direzione e ne cambiarono la denominazione in istituti medico-pedagogici. In essi però si sono distinti anche i pedagogisti che con il loro contributo educativo hanno dato prova dell’insostituibilità dell’operato pedagogico.